La seconda di Natale a Cusio in Vespa.


La seconda di Natale a Cusio in Vespa.
Il “vecchio” era un anziano che abitava in Città Alta in un mezzanino di via Rosate, e che asseriva di essere un medium. Le poche sedute, alle quali noi giovani “miscredenti", partecipavamo non avevano dimostrato alcun risultato, forse perché, da giovani ridanciani, non prendevamo sul serio le regole della partecipazione.
Per i suoi spostamenti, che implicassero percorsi oltre l’ambito delle Mura veneziane, il “vecchio utilizzava un vecchio scooter, Vespa modello anni ’50, quello con le panciute prominenze laterali, guidato alternativamente da Franco e da suo fratello.

Franco era il più anziano della nostra compagnia, e l’organizzatore delle nostre scorribande giovanili. 
Il ventisette dicembre del 1956 ebbe l’idea “geniale” di fare una gita con lo scooter, proponendo al sottoscritto e a l’altro amico, Ulderico disponibile quel giorno, di raggiungere Cusio, un paesino in alta Valle Brembana.

Cusio, pochi anni prima, era stato il luogo in cui Ulderico e il sottoscritto passavamo i mesi di villeggiatura e, nel quale, pensavamo di poter trovare qualche amico anche nel periodo natalizio.
La proposta era talmente idiota da essere accettata a l’unanimità. La giornata, fredda e nuvolosa, non era certamente indicata per fare un viaggio in montagna, in tre su una Vespa asmatica, di circa quaranta chilometri. Ma l’incoscienza giovanile non aveva limiti.

Nel primo pomeriggio del ventisette partimmo, intabarrati nei nostri cappotti, imboccando la provinciale della Valle Brembana. Il viaggio d’andata fu intercalato da soste per riscaldare mani e piedi intorpiditi dalla posizione quasi immobile sul veicolo e per rincuorarci sulla continuazione o meno della destinazione finale.
La decisione era stata assunta e nulla la poteva mutare.

Dopo circa un paio d’ore di sofferenza fisica, arrivammo a destinazione: paese deserto, nessun locale pubblico aperto, un silenzio tombale nell’aria. Cosa d’altro potevamo aspettarci? Chiusi gli unici due negozi, chiusa la Locanda del Paleni, unico locale pubblico che fungeva da Bar e Osteria.

Non era ancora iniziato il boom delle seconde case e il paese era un agglomerato di poche case attorno alla Parrocchiale ben lungi dall’animazione estiva che, per quanto limitata ai tempi che correvano, era pur sempre maggiore rispetto a quella invernale. Il paesaggio, per altro in mancanza di neve, assomigliava più a quello tardo autunnale, eccetto il freddo, che a ciò che ci si poteva attendere a mille metri di quota.
Delusi e intirizziti decidemmo di ritornare in città, imbrunire incalzava e, calcolando i tempi d’andata, pensavamo di rientrare non oltre l’ora di cena.

Lo scooter, ringraziandoci con il suo “ronfare” rassicurante, non dimostrava più lo sforzo sostenuto nell’andata e, tutto sommato, sino a Lenna, compì il suo dovere impeccabilmente. 

La sorpresa non poteva mancare: piccola sbandata, controllo e … gomma posteriore completamente sgonfia. 
Delusione successiva: la ruota di scorta, immancabile accessorio sugli scooter del tempo, altrettanto sgonfia per una foratura precedente e mai riparata! Affannosa ricerca di un meccanico per la riparazione, inconcludente stante la giornata festiva.

Fortunatamente, si fa per dire, l’ospitalità di un garagista che avrebbe ricoverato il mezzo assicurandoci che il giorno successivo avrebbe provveduto alla riparazione.

Di fronte al garage vi era la stazione ferroviaria del trenino che collegava Piazza Brembana a Bergamo e sconsolati per gli imprevisti occorsi, controllammo gli orari delle corse festive peraltro non frequenti quanto quelle dei giorni feriali lavorativi.

In buona sostanza calcolammo che non saremmo arrivati a Bergamo prima delle ore venti. Non esistevano telefonini per avvisare casa e, soprattutto, non era pensabile raccontare telefonicamente il motivo del ritardo senza ricevere i dovuti e comprensibili rimbrotti. Attendemmo in silenzio e seduti sulle panche della saletta passeggeri il transito del convoglio.

Arrivai a casa ben oltre le venti accolto, comprensibilmente, dai giusti rimbrotti dei genitori preoccupati per il  ritardo e del mio immotivato silenzio. Che potevo raccontare?
Non cenai, quella sera e mi rifugiai in camera. Avevo combinato l’ennesimo pasticcio.

Ricordi di tanti anni orsono, vicende di giovani scapestrati e incoscienti. Ma forse, i giovani d'oggi, ne fan di peggio.




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