Settimana di Ferragosto, pochi soldi in tasca e niente
vacanze. Potrebbe essere l’inizio di un ricordo di fame e miseria, invece è l’antefatto
di un’escursione in montagna che non necessariamente richiedeva spese
insostenibili.
Con mio fratello Carlo, mia madre, due mie cugine, una delle
quali accompagnata dal fidanzato, decidemmo di salire al Rifugio Curò e, in
seguito, raggiungere il Rifugio Coca con partenza e arrivo a Valbondione. Il
paese lo raggiungemmo un pomeriggio, Carlo ed io in Lambretta mentre gli altri
ci utilizzarono il pullman di linea.
Pernottammo al Rifugio con il programma di proseguire, il
giorno successivo, seguendo il Sentiero delle Orobie, raggiungere il Rifugio
Coca entro mezzogiorno, pranza e poi ridiscendere a Valbondione.
Al risveglio trovammo una giornata spettacolare, niente
nuvole in cielo e un’aria tersa raramente riscontrabili nel mese d’agosto.
Immediatamente fu presa la decisione di sostare ancora un giorno al Curò e
sfruttare l’occasione per raggiungere qualche vetta. Scartate quelle più difficili,
scegliemmo il Monte Gleno salendo dalla Valle del Trobio e dall’omonimo ghiacciaio
a quei tempi ancora abbastanza ampio e innevato.
L’intera compagnia s’incamminò lungo il sentiero che,
costeggiando il lago artificiale del Barbellino porta al lago naturale, quindi
all’imbocco della valle del Trobio io, mio fratello Carlo e il fidanzato di mia
cugina iniziammo la salita verso il Gleno lungo il sentiero che costeggiava
alla base le ripide pareti dei Corni Neri.
Grazie allo strato di neve superammo agevolmente il
ghiacciaio e ci portammo sotto la “bocchetta” dalla quale, in cresta, avremmo
raggiunto la vetta. Sino a quel punto nessuno aveva avuto ripensamenti sull’obiettivo
finale, solo nel momento in cui lungo la cresta si presentò un canalino di una decina di
metri che si doveva superare utilizzando alcune nozioni elementari di
arrampicata.
Fu allora che Carlo si rifiutò di proseguire. Con molta
fatica e opera di convinzione riuscimmo a smuoverlo dal suo rifiuto e
aiutandolo, davanti il fidanzato di mia cugina ed io dietro a spingerlo a forza
di braccia, superammo anche il piccolo ostacolo che ci separava dalla cima.
La crestina che portava in vetta non era da meno del
canalino ma ormai, superato il momento di crisi, la percorremmo in pochi minuti
raggiungendo soddisfatti la croce e ammirando il maestoso spettacolo che ci si
presentava.
Da un lato la Valle del Gleno con i resti della famosa diga
che sbriciolando sin procurò la tragedia con centinaia di morti negli anni
venti, dall’altro il ghiacciaio e in fondo le azzurre acque del Lago Barbellino
contornato dal Pizzo Recastello, Pizzo Coca, Pizzo del Diavolo e Pizzo Torena.
Sullo sfondo le Alpi con i ghiacciai che luccicavano al sole.
Era stata la prima vetta di mio fratello Carlo e, penso, che
se la ricordi ancor oggi come l’abbia raggiunta.
Il giorno successivo, durante la traversata dal Rifugio Curò
al Rifugio Coca, ebbi un piccolo incidente causato dalla mia imprudenza nel
raggiungere e raccogliere una meravigliosa Stella Alpina che avevo adocchiato.
Fortunatamente mi lussai solo il dito mignolo della mano
destra creandomi non pochi problemi nel guidare lo scooter da Valbondione a
Bergamo. Ma la soddisfazione della buona riuscita dell’escursione era superiore
al dolore che in quel momento provavo.
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