Tra le tradizioni popolari bergamasche, quella concernente
la “scampagnata” fuori porta della seconda di Pasqua significava festeggiare
anche la primavera e il ritorno della stagione delle “frasche”, osterie
improvvisate nei casolari dei contadini che coltivavano la vite, o dei picnic
sui prati delle colline che circondano la città.
Era assolutamente prassi consumare un piatto pasqualino,
povero ma invitante: radecc e ciape de öv (radicchio affettato sottilissimo e
uova sode). Ovviamente con contorno di salame, taleggio e qualche buon
bicchiere di vino della precedente vendemmia.
Lo ricorda un proverbio dialettale: “La segónda de Pasqua
töcc a mangià ciape de öv in campagna” .
Per chi abitava in città, la meta d’obbligo era la collina a
nord: la Maresana, raggiungibile con una breve camminata su strada o tramite
sentiero. Sulle sue pendici si potevano trovare diverse “frasche”, così
denominate perché esponevano un ramo all’entrata che significava la possibilità
di trovare vino, salame, stracchino e, ovviamente uova e radicchio.
Sulla sommità si trovavano alcune trattorie. La prima,
accanto alla chiesetta, era denominata “Trattoria Maresana”, poi, lungo un
sentiero che saliva più in alto c’era, nell’ordine, la “Trattoria della Croce
dei morti” e ancor più lontano il “Pighet”.
Tuttavia erano numerosi coloro che al contrario preferivano
portare il necessario da casa e sistemarsi sui prati della collina e rispettare
la tradizione al sole e all’aria aperta.
Negli anni cinquanta alcune giostre arricchivano la radura
della chiesetta ed erano la meta di ragazzine e ragazzini che volevano provare
l’ebbrezza dei “seggiolini volanti” e di spettatori che si accontentavano di
guardare le gonne svolazzanti delle signorine che arditamente si avventuravano
sul marchingegno.
Tra i tanti ricordi di quelle scampagnate, ne ho uno che
riguarda mio fratello.
Nel pomeriggio ero salito in Maresana proprio per “godermi”
lo spettacolo poco fa descritto quando incontrai il gruppo di amici di mio
fratello che tornavano da un’escursione alle grotte del Pacì Paciana, sulle
pendici del Canto Alto.
Mi abbordarono e ricordo una loro frase: “ …. ma quanto
mangia tuo fratello, ha ingoiato ben sei uova sode !....”
Non era solo la Maresana ad esser presa d’assalto in questa
giornata negli anni cinquanta. Sui colli di Bergamo, San Vigilio e Bastia,
altre trattorie e frasche erano la meta del fuori porta pasquale.
Sui Torni la trattoria dei “Rapesa” (Rapizza) con la
bellissima esposizione verso la pianura e con i tavoli in pietra o in legno in
estate coperti da un bersò di uva americana. Più sopra la trattoria degli
“Alpini” e in alto, sulla sommità del monte Bastia (al pilù), la trattoria del
“Marco e la Marchina”, con vista sull’Albenza, Canto Alto e imbocco della Valle Brembana.
E ancora sul crinale della collina che cinge Longuelo a
nord, accanto ad un tiro al piattello era situata un’altra Trattoria, il cui
nome mi sfugge, anch’essa meta delle “merende” alla contadina. La specialità erano le acciughe sott’olio
condite con prezzemolo e aglio.
In questa “frasca” festeggiai con amiche e amici l’addio ufficioso
al celibato. Ma questo successe nel decennio successivo, nella prima metà degli
anni sessanta.
In ciascuna di loro l’accoglienza era sempre festosa, sia
che si consumasse il pasto completo, sia per quanti portavano da casa le
provviste e si servivano solo del vino della casa. Le “brigate” giovanili
preferivano abbuffarsi con fette di polenta fredda, salame, stracchino,
acciughe sott’olio e sott’aceti vari. Le famigliole prediligevano i piatti che
la padrona, o la cuoca di turno, aveva preparato. Il vino servito in primavera
era quello novello della precedente vendemmia, in estate era soprattutto la
Barbera che imperava, fresco di cantina e leggermente frizzante, servito in boccali di maiolica,
si accompagnava bene alle pietanze descritte in precedenza.
Altra Trattoria nota in Città per la sua specialità
autunnale, il minestrone di trippa, era la “Pergola” in via Borgo Canale. Prima
che a Bergamo iniziasse la moda della pizza, il sabato sera, dopo il
cinematografo, era diffusa tra noi giovani l’abitudine di recarci alla Pergola
per un’abbondante scodella di minestrone di trippa. Tradizione successivamente ma inesorabilmente sostituita dalle serate nelle pizzerie che
anche in Città Alta, ad iniziare da Mimmo il precursore, fecero comparsa. La
Pergola, forse, fu proprio l’ultima trattoria che cucinò, secondo la tradizione
bergamasca, la vera trippa così come la mangiavano nelle diverse trattorie dei
Borghi i visitatori, venditori e acquirenti dei mercati che si svolgevano dai
tempi immemorabili in Città Bassa.
Col tempo molte di queste Trattori e frasche sono sparite.
Gestite, allora da persone anziane, se ne sono andate con loro. I figli hanno
preferito l’impiego sicuro, magari in fabbrica, alla cura della cascina o del
locale per avventori.
Altre
si sono trasformate in Ristoranti, più o meno pretenziosi ma, sostanzialmente,
mutando la loro origine e il modo nostrano di cucinare. Altre ancora si sono
trasformate in Agriturismo: il nuovo che avanza ma che non riuscirà mai a
sostituire il clima e l’ambiente che trasformava una semplice scampagnata in
una festa da ricordare tutto l’anno.
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