Neve, slitta e sci
Alla prima nevicata,
solitamente attesa per Santa Lucia, aveva inizio la nostra “stagione
invernale”. Dagli sgabuzzini e dalle cantine uscivano slittini artigianali
costruiti con legni recuperati dalle cataste pronte per il riscaldamento. I
pattini di tali “veicoli” erano ricoperti con lamine di latta recuperate e
sapientemente adattate, in modo da scivolare sulla neve e sui tratti
ghiacciati.
I più fortunati erano
dotati da sci, in molti casi ricordi risalenti alla prima guerra mondiale,
dimenticati dai nonni o dai parenti nelle vecchie cantine. Le racchette erano
di bambù e gli attacchi degli sci composti da un meccanismo che, con una leva laterale,
agiva sulla “tacca” posteriore degli scarponi (per i pochi che li possedevano).
Il “campo scuola” era il
prato della Fara, invaso da ragazze e ragazzi festosi che giocavano a palle di
neve. I pochi aspiranti sciatori erano il bersaglio favorito perché occupati a
reggersi in equilibrio e, pertanto, predestinate vittime sacrificali.
Il tratto più
“difficile" era la breve china che separava il “pratone” dal campo di
calcio.
Una discesina di pochi
metri ma che per noi era la consacrazione dell’eroismo sciistico. Fatta, quella
più volte eravamo pronti alla prova successiva: le discese nei prati che dallo Spalto di San Lorenzo - "La
Montagnetta" scendevano
verso Valverde.
Per arrivarci era
necessario calarsi, con tutta l’attrezzatura”, su un cono composto di
calcinacci e rifiuti che arrivava a circa un metro dal parapetto. Superata
questa prima difficoltà, si scendeva il ripido cono e, sci in spalla, ci si
avviava sin quasi sotto lo spalto della Fara. Davanti agli aspiranti sciatori
si apriva la “pista nera” di Bergamo.
Il cuore batteva forte
mentre adattavi gli sci agli scarponi e, dopo un attimo di esitazione, ti
lanciavi nella discesa acquistando sempre più velocità. Il meccanismo “primordiale” che
agganciava lo sci allo scarpone non permetteva grandi virate e,
conseguentemente era quasi obbligatoria la linea retta e il relativo aumento
della velocità che si concludeva inevitabilmente con un gran ruzzolone
all’arrivo.
Con grande orgoglio per
aver superato la difficile prova si caricavano gli sci in spalla e lentamente
si risaliva la china per ripetere il percorso, sotto gli sguardi ammirati degli
indecisi e paurosi che con trepidazione attendevano il loro turno.
Naturalmente questa pista
era “off limits” per gli slittini: avrebbero rovinato il fondo pazientemente
battuto da noi sciatori!
Sino agli ultimi anni ’50,
il traffico automobilistico in Città Alta era molto limitato e,
conseguentemente, le strade non erano fonte di pericoli.
Via Porta Dipinta, da
Piazza del Mercato delle scarpe (stazione superiore della funicolare), sino a
Porta San’Agostino era una pista ideale per i coraggiosi che muniti di slittino
si cimentavano nelle alte velocità. Pochi minuti di adrenalina e di brivido
riservato a pochi ardimentosi che erano guardati con rispetto e ammirazione
dalle ragazzine che assistevano alla competizione.
Le vacanze natalizie,
naturalmente, erano trascorse nella “stazione invernale” di Città Alta, senza
alcuna spesa e con gran divertimento.
Il giorno di Natale era
assolutamente dedicato alla famiglia. Dopo il tradizionale pranzo a base delle
varie e, per quei tempi, rare “leccornie” contenute nel “pacco natalizio” era
consuetudine giocare a tombola con i fagioli secchi che venivano utilizzati per
evidenziare i numeri estratti sulle cartelle.
Bastava poco a renderci
felici.